C'è chi ricorda, anche solo attraverso la memoria degli anziani, addirittura la tratta a scartamento ridotto Siracusa-Ragusa-Vizzini, che attraversava l'immensa Valle dell'Anapo, le rupi e la necropoli di Pantalica. Ma quella è un'altra storia, molto più romantica se vogliamo, datata 1956, con l'ultimo mogio trenino in modica corsa, partito dalla stazione di Solarino, addobbato degli ultimi rotab! ili, preparato per chiudere definitivamente il viaggio nella stazione del capoluogo, secondo volontà di Scalfaro e del decreto emanato allora.
Oggi, nessun romanticismo nel constatare l'aplomb quasi funereo della stazione di Siracusa che, tassello dopo tassello, ha scardinato ogni prerogativa, la sua stessa identità, perdendo corse e treni e quel minimo di autorevolezza che anche o soprattutto una stazione deve detenere.
Per cui, bandita la lunga tratta, soppresse le storiche lunghe percorrenze - come dimenticare la nostalgica (almeno nel nome) Freccia della Laguna? - rimane ben poco persino di una città. Finita, sparita la Freccia della Laguna (la ergiamo a metafora) e con essa tutte le evocazioni del caso, il mogio ritmare delle rotaie e il passo stanco di certi treni tanto cari alla nostra memoria, che si nutre spesso di piccole certezze, indissolubili consuetudini, punti di riferimento, come una volta doveva essere: barbiere, prete, sindaco, capostazione.
Lo! hanno chiamato federalismo delle rotaie l'imprinting di Treni! talia che ci ha giocato un brutto scherzo. Senza treni e senza porto. Faccenda complicata. La città rischia di implodere, chiudersi e implodere.
Intanto in stazione mancano all'appello i viaggiatori, salvo pochi sparuti turisti di passaggio, quelli che ancora ostinati perseguono una certa idea, salvifica un tempo, della lentezza. Ma devono fermarsi a Roma, costoro.
E se va bene. Tanto le partenze sono vincolate a cinque. Cinque partenze da Siracusa, ovunque si voglia finire nel resto di Italia, ci fermeranno a Roma. Fino a un decennio fa o poco meno, i vagoni morti erano in un'ala apposita e consentivano un minimo riparo ai senza tetto di Siracusa.
E l'accezione «morto» indicava paradossalmente più una solvenza, una possibilità, l'esatto contrario dell'irreversibilità del termine «morto». Oggi il binario e il vagone «morto» è definizione assoluta. Morto uguale deserto, defunto, seppellito. Una città con una stazione in agonia, senza treni, è una città senza anima.Abbiamo smarrito la via, non solo quella per il Continente.
Abbiamo smarrito il genius loci. Avremo difficoltà a riconoscerci in qualcosa, in una precipuità nostra, isolana, siciliana, proprio adesso, in tempi di rivoluzioni e rivendicazioni finanche autoctone. È un peccato.
È una lacerazione, che avrà strascichi non soltanto economici, va da sé. Da sciocchi sottovalutarlo.
Veronica Tomassini
Fonte: La Sicilia