Le cause non vanno ricercate solo nell’eventuale errore o
leggerezza di un qualche ferroviere adibito a mansioni che avevano in qualche
modo a che fare in quel momento con la presenza dei tre operai lungo la linea e
con la circolazione di un treno. Sarebbe troppo semplicistico, e di questo si
occuperà la magistratura.
Ma ci sono cause più generali e importanti che possono
farci comprendere le dimensioni e i contorni di questa disgrazia: in primo
luogo lo stato di abbandono di certe tratte in Sicilia, che in quella ove è
accaduto l’incidente è estremamente grave; in secondo luogo la carenza di personale negli impianti
adibiti alla manutenzione delle linee, la mancata assunzione di giovani
in seguito al pensionamento del personale anziano e la conseguente
utilizzazione del personale residuo in zone sempre più vaste e meno conosciute.
Quindi: meno personale, più chilometri da accudire, più lavoro da fare nella
linea, col risultato che vanno a farsi benedire le normative sulla sicurezza,
applicando le quali, i pochi lavoratori non riuscirebbero a svolgere nemmeno la
metà dei loro compiti. Perché sicurezza vuol dire diminuzione dei ritmi di
lavoro, tempi di attesa, tempo da dedicare alle procedure da mettere in atto.
Finché tutto fila liscio, si procede così, quando però ci scappa il morto,
allora vanno cercate le responsabilità, magari trovandole proprio nelle
vittime, che tanto non possono parlare.
Una situazione che rischia di aggravarsi con la
riorganizzazione imminente di RFI che mira a costituire mega impianti da dove
il personale partirà giornalmente per andare a lavorare in linee sempre più
lontane.
Se questo può accadere è perché da oltre vent’anni gli
interessi del Gruppo FS si rivolgono quasi esclusivamente sull’Alta Velocità,
lasciando che il resto delle linee regionali e del trasporto pendolari (ma
anche del servizio merci), al Nord come al Sud, finisca nel degrado più
assoluto.
Degrado che in Sicilia ha toccato i limiti della decenza; qui le
linee sopravvivono grazie alla buona volontà dei ferrovieri, alla loro
abnegazione, alla loro disponibilità persino a mettere da parte i regolamenti
sulla sicurezza a protezione della propria incolumità, pur di assicurare
l’esistenza quotidiana delle ferrovie.
Adesso non si tratta di commuoversi e mandare messaggi di
cordoglio alle famiglie: l’ipocrisia lasciamola agli sciacalli.
La morte di
Vincenzo Riccobono, di Antonio La Porta e di Luigi Gazziano devono averla sulla
coscienza i vertici manageriali che hanno massacrato il trasporto su ferro, e
con essi tutti i ministri e i governi che li hanno sostenuti e continuano a
farlo e tutti quei politici che non hanno mosso un dito per ridare dignità e
funzionalità alle nostre bistrattate linee e al servizio ferroviario.
Un appello a riflettere e a mettere in atto le necessarie pressioni perchè
vengano coperte le piante organiche va fatto ai Responsabili degli impianti
manutentivi, anch'essi in difficoltà per la grave carenza di personale a fronte
della necessità di svolgere attività indispensabili per la sicurezza della
circolazione dei treni, essendo perfettamente consapevoli che per svolgere le
numerose attività lavorative assegnategli è necessario che i lavoratori mettano
da parte i regolamenti che gli assicurano la sicurezza. Chi provi un sincero moto di sdegno non deve fare altro che rivolgerlo verso un impegno costante, accanito e coerente per il rilancio del trasporto ferroviario, contro le politiche di accentramento delle risorse, delle tecnologie e degli interessi attorno all’alta velocità.
Domenica 20
luglio in Valle Susa gli attivisti NO TAV hanno bloccato un TGV in transito in
memoria delle vittime di Butera: di questo tipo di solidarietà, e di seri
impegni di lotta abbiamo tutti bisogno perché stragi di questo tipo non si
ripetano mai più.
Ragusa, 22 luglio 2014
Coordinamento provinciale CUB Trasporti
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